Si segnala la sentenza emessa dal Tribunale di Milano nel procedimento penale nei confronti di alcuni soggetti in posizione apicale di Banca Monte dei Paschi di Siena.
La sentenza offre alcuni importanti spunti in tema di obblighi e poteri dei Sindaci, della connessa responsabilità penale, nonché in materia di efficace attuazione del Modello 231.
I principi espressi, ad avviso di chi scrive, potrebbero trovare applicazione non solo nei confronti di società quotate, la cui disciplina si rinviene nel D.Lgs. 58 del 1998 (T.U.F.), ma anche rispetto a società che non fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio (e questo per la presenza nel codice civile di disposizioni in tema di obblighi e poteri del Collegio Sindacale che hanno il medesimo contenuto di quelle analoghe previste dal T.U.F. – che invero hanno mutuato i loro principi proprio dalle norme del codice civile).
Si ricorda inoltre che i Giudici di primo grado hanno ritenuto responsabili gli imputati dei reati loro ascritti (segnatamente: false comunicazioni sociali ex art. 2622 c.c. – ovvero falsità nei bilanci e nelle relazioni sociali – e manipolazione del mercato ex art. 185 T.U.F.), nonostante la richiesta di assoluzione formulata dalla Procura di Milano (che nel corso delle indagini aveva altresì avanzato richiesta di archiviazione).
Dopo aver analizzato gli elementi costitutivi del reato di false comunicazioni sociali (fattispecie comunemente nota come falso in bilancio), il Tribunale si è soffermato sulla responsabilità del Presidente del collegio sindacale di Banca Monte dei Paschi di Siena al quale era stato contestato di non aver impedito la commissione dei delitti di false comunicazioni sociali.
Il Tribunale ha precisato che l’obbligo giuridico – per i Sindaci di società quotate – di impedire la commissione di reati è contenuto nell’art. 149 T.U.F. in cui si prevede che il collegio sindacale vigili (analogamente a quanto previsto dall’articolo 2403 c.c.):
- “sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo;
- “sul rispetto dei principi di corretta amministrazione;
- “sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società per gli aspetti di competenza, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo-contabile nonché sull’affidabilità di quest’ultimo nel rappresentare correttamente i fatti di gestione”.
Si tratta di doveri, prosegue il Tribunale, cui corrispondono penetranti poteri di controllo. Infatti, l’art. 151 T.U.F. (analogamente a quanto previsto dall’articolo 2403-bis c.c.) prevede che i Sindaci possano:
- “anche individualmente, procedere in qualsiasi momento ad atti di ispezione e di controllo, nonché chiedere agli amministratori notizie, anche con riferimento a società controllate, sull’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari, ovvero rivolgere le medesime richieste di informazione direttamente agli organi di amministrazione e di controllo delle società controllate”;
- “scambiare informazioni con i corrispondenti organi delle società controllate in merito ai sistemi di amministrazione e controllo ed all’andamento generale dell’attività sociale”;
- “previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione, convocare l’assemblea dei soci, il consiglio di amministrazione od il comitato esecutivo ed avvalersi di dipendenti della società per l’espletamento delle proprie funzioni (poteri che possono essere esercitati anche individualmente da ciascun membro del collegio, ad eccezione del potere di convocare l’assemblea dei soci, che può essere esercitato da almeno due membri);
- “al fine di valutare l’adeguatezza e l’affidabilità del sistema amministrativo- contabile, sotto la propria responsabilità e a proprie spese, possano avvalersi, anche individualmente, di propri dipendenti e ausiliari”.
Rispetto poi all’elemento soggettivo, i Giudici di primo grado, riprendendo l’orientamento della giurisprudenza in tema di amministratori privi di delega, hanno affermato che “è necessario emerga la prova, da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili dai quali desumere l’accettazione del rischio – secondo i criteri propri del dolo eventuale – del verificarsi dell’evento illecito e, dall’altro, della volontà di non attivarsi per scongiurare detto evento”.
In altre parole, secondo questo ragionamento, sui Sindaci graverebbe un obbligo giuridico di impedire la commissione di reati da parte dell’organo gestorio, ma la responsabilità penale sussisterebbe solo qualora gli stessi fossero effettivamente venuti a conoscenza della realizzazione di fatti pregiudizievoli da parte degli amministratori e non avessero posto in essere alcun intervento per evitarli.
Secondo il Tribunale, rispetto alla responsabilità dei Sindaci, a nulla varrebbe poi la compresenza di un revisore che avrebbe potuto esonerare il collegio sindacale dal controllo contabile.
Sebbene, infatti, il Tribunale riconosca che il soggetto chiamato alla revisione legale dei conti verifica la regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili nonché la conformità dei bilanci alle risultanze delle predette scritture e alla disciplina di settore, evidenzia – invero – che in alcune ipotesi “l’irregolarità contabile impone comunque l’attivazione del collegio sindacale, tenuto a vigilare sull’adeguatezza del sistema amministrativo-contabile e relativa affidabilità nel rappresentare correttamente i fatti di gestione (all’esito di un controllo sintetico complessivo su metodi e procedure di redazione del bilancio)”.
Per il Tribunale nel caso “Banca Monte dei Paschi di Siena” l’alterazione del bilancio sarebbe stata talmente macroscopica “da pregiudicare l’affidabilità dell’intero sistema amministrativo-contabile, complessivamente inadeguato a rappresentare correttamente i fatti di gestione”. Situazione di cui il collegio sindacale non poteva non essere a conoscenza e la cui realizzazione sarebbe stata resa possibile proprio dal mancato intervento dei Sindaci.
E questo – ad avviso di scrive – è il punto centrale della sentenza: la responsabilità del collegio sindacale non sussiste in tutte le situazioni in cui gli amministratori pongono in essere condotte illecite, ma solo nei casi in cui – come in quello di specie – le violazioni siano talmente macroscopiche da non poter essere ignorate dal collegio sindacale il quale, pertanto, decide scientemente di non intervenire evitando qualsiasi azione diretta a contrastarne la realizzazione.
Diversamente, sul collegio sindacale graverebbe il compito di verificare – in modo stringente e penetrante – l’intero operato degli amministratori.
Controllo che – per chi scrive – non è tuttavia contemplato dalla legge. In quanto al collegio sindacale è, sì, attribuito un potere di controllo sul rispetto della legge ma questo non si traduce in un’ingerenza nelle scelte gestorie degli amministratori.
Tra l’altro, riconoscere un simile dovere in capo ai Sindaci – sempre ad avviso di chi scrive – determinerebbe molti soggetti, consci del rischio di responsabilità penale in cui si può incorrere a fronte della scarsa partecipazione che in concreto gli viene riconosciuta, a non essere più disponibili a ricoprire tali cariche.
Il Tribunale comunque, individuando violazioni macroscopiche e non trascurabili ha condannato il Presidente del collegio sindacale alla pena di anni 3 e mesi 6 di reclusione nonché all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni.
Non si comprende – in ogni caso – la scelta di contestare il reato unicamente al Presidente del collegio sindacale e non agli altri membri dello stesso. Come noto, si tratta di un organo che decide collegialmente, per cui ci si chiede come possa la responsabilità per l’omesso controllo, se esistente, investire il solo Presidente.
Rispetto, invece, alla responsabilità amministrativa da reato ai sensi del D.Lgs. 231/2001 di Banca Monte dei Paschi di Siena, imputata nel medesimo processo, il Tribunale ha ritenuto del tutto inadeguato – se non addirittura insussistente – il controllo dell’Organismo di Vigilanza.
Ha infatti rilevato come, sebbene fosse munito di penetranti poteri di iniziativa e controllo (ad esempio “la facoltà di chiedere e acquisire informazioni da ogni livello e settore operativo della Banca, avvalendosi delle competenti funzioni dell’istituto”), l’Organismo di Vigilanza “ha sostanzialmente omesso i dovuti accertamenti (funzionali alla prevenzione dei reati, indisturbatamente reiterati)”.
Ciò, nonostante il tema contabile fosse già stato messo in evidenza dalle ispezioni di Banca d’Italia (di cui l’OdV era a conoscenza) che avevano poi condotto ad una contestazione giudiziaria nei confronti di Banca Monte dei Paschi di Siena.
Per tali ragioni i Giudici di primo grado hanno concluso che l’Organismo di Vigilanza avrebbe “assistito inerte agli accadimenti, limitandosi a insignificanti prese d’atto, nella vorticosa spirale degli eventi (dalle allarmanti notizie di stampa sino alla débâcle giudiziaria) che un più accorto esercizio delle funzioni di controllo avrebbe certamente scongiurato”. Concludendo che “Così, purtroppo, non è stato e non resta che rilevare l’omessa (o almeno insufficiente) vigilanza da parte dell’organismo, che fonda la colpa di organizzazione di cui all’art. 6, d.lgs. n. 231/01”.
Banca Monte dei Paschi di Siena è stata quindi condannata alla sanzione amministrativa pecuniaria di 800.000,00 euro ai sensi del D.Lgs. 231/01.
Si sottolinea invece come nessun componente dell’OdV sia stato sottoposto a processo penale per i fatti sopraesposti e ciò in linea con l’orientamento giurisprudenziale – condivisibile – secondo cui i membri di tale organo non avrebbero i poteri necessari a svolgere un effettivo controllo e soprattutto adeguati a scongiurare la realizzazione dell’evento.
Per il testo della sentenza e un contributo sul tema: https://www.giurisprudenzapenale.com/ 2021/04/08/la-sentenza-del-tribunale-di-milano-nel-caso-banca-monte-dei-paschi-di-siena- derivati/