La difesa ha dimostrato la buona fede della società, che aveva contabilizzato e poi stornato una fattura per l’acquisto di materiale mai consegnato, basandosi su raccomandate inviate al fornitore e sulla consulenza del proprio commercialista. Nonostante una sanzione amministrativa, il tribunale ha riconosciuto l’assenza di prova oltre ogni ragionevole dubbio della fittizietà dell’operazione, evidenziando l’importanza della buona fede e delle procedure corrette nella gestione contabile. La sentenza sottolinea la necessità per le aziende di adottare massima attenzione nelle verifiche dei fornitori e nella documentazione delle transazioni commerciali.
Con sentenza n. 974, del 4.4.2023 (irrevocabile in data 4.6.2023), il Tribunale di Monza, in composizione monocratica, ha assolto il Presidente del Consiglio di Amministrazione e l’Amministratore Delegato di una Società per Azioni (in seguito “S.p.A.”) dal reato di cui all’art. 2 D.Lgs. 74/2000.
Nello specifico, veniva contestata agli imputati la “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, per aver indicato elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi (IRES) e sul valore aggiunto (IVA), riguardanti l’anno d’imposta 2012.
Il procedimento penale conseguiva alla verifica fiscale svolta dell’Agenzia delle Entrate in cui era emerso che, nel settembre 2012, la S.p.A. aveva ricevuto e contabilizzato una fattura per oltre 350.000,00 euro, relativa ad una consistente partita di tubi di metallo, portando in detrazione l’IVA, pari a circa 73.000,00 euro. Tuttavia, nel marzo 2013 la S.p.A. aveva stornato l’intero importo con una nota di debito, dichiarando che il materiale di cui alla predetta fattura non era mai stato consegnato.
Secondo l’Agenzia delle Entrate la fattura annotata nel 2012 si riferiva ad un’operazione oggettivamente inesistente e la nota di debito era soltanto uno “strumento contabile per rimediare formalmente alla fittizietà dell’operazione”.
Tale ricostruzione si fondava sulle seguenti osservazioni:
– la fattura oggetto d’imputazione era stata qualificata nella contabilità della S.p.A. come “accompagnatoria” e quindi presuntivamente attestante la consegna della merce;
– la stessa fattura recava invece l’indicazione che “la merce era a disposizione del cliente nei magazzini del fornitore”; quindi in contrasto con quanto sopra;
– la società emittente operava in diverso settore merceologico (alimentare) rispetto all’oggetto della fattura (tubi di metallo);
– la società emittente era evasore totale dal 2004 e, dallo Spesometro, risultava aver sostenuto acquisti per l’anno 2012 pari a soli 50.000,00 euro, importo incompatibile con la fattura di vendita emessa nei confronti della S.p.A. (come detto di oltre 350.000,00 euro);
– la S.p.A. aveva conseguito il vantaggio di esporre costi fittizi e quindi diminuito l’ammontare delle imposte dovute per l’annualità 2012.
Tale tesi veniva sostanzialmente smantellata in dibattimento.
Gli imputati e i testi chiamati a deporre, in particolare il commercialista della S.p.A., ricostruivano che la società era rimasta in attesa – in buona fede – della merce e che, a fronte della mancata consegna della stessa, aveva cercato, senza successo, di prendere contatti con la società fornitrice.
In particolare, la responsabile della contabilità della S.p.A. aveva trasmesso diverse raccomandate alla società emittente (prodotte in giudizio dalla difesa), che tuttavia non erano state recapitate perché il domicilio risultava sconosciuto. Il commercialista, come da lui stesso ammesso in dibattimento, aveva quindi suggerito di emettere la nota di debito per il medesimo importo, in modo da neutralizzare gli effetti negativi della fattura non pagata, tra cui i diversi ammontare di IVA e IRES.
Peraltro, nel processo la difesa aveva ricostruito e documentato che la S.p.A. era comunque stata sanzionata dall’Agenzia delle Entrate con una multa di euro 60.000,00. Un importo che, a ben vedere, vanificava qualsiasi vantaggio fiscale che la stessa aveva (volontariamente o meno) conseguito.
Infine, in dibattimento era emerso che l’affare era stato “presentato” alla S.p.A. da un broker incaricato di reperire sul mercato materiale a prezzi competitivi, come da prassi nel settore. Il broker aveva individuato la società emittente, con la quale aveva concluso un accordo sul prezzo, per conto della S.p.A. Sennonché il broker, al pari della società fornitrice emittente, si era reso irreperibile.
Ebbene, a fronte del quadro probatorio sopra delineato, il Tribunale di Monza ha assolto entrambi gli imputati dal reato loro ascritto, affermando che gli indizi individuati dall’Agenzia delle Entrate non sono idonei a riscontrare, oltre ogni ragionevole dubbio, la fittizietà dell’operazione sottesa alla fattura.
Con un iter logico-giuridico del tutto condivisibile, il Giudice individua anzitutto, come elemento sintomatico della buona fede, proprio l’indicazione in contabilità dello storno dell’operazione. Questa, infatti, ha determinato l’elisione “delle poste e conseguente azzeramento di qualsivoglia beneficio tributario”.
In aggiunta, secondo il Tribunale, l’importanza data dall’Agenzia delle Entrate alla difformità tra la natura “accompagnatoria” della fattura e quanto riportato sulla stessa (cioè, che i beni si trovavano nel magazzino dell’emittente), si risolverebbe addirittura “in una petizione paralogistica”: l’Agenzia avrebbe, infatti, ricavato l’insussistenza della prestazione dalla circostanza che “la contribuente avrebbe attestato di non aver ricevuto la merce”.
Sennonché, prosegue la sentenza, “la falsità dell’operazione economica presuppone la sua radicale inesistenza ex ante e non già l’eventuale storno ex post per fatti sopravvenuti, tra i quali rientra anche l’inadempimento del venditore alle obbligazioni assunte”.
In altre parole, secondo il Tribunale, la circostanza che una fattura sia stata stornata per mancata consegna della merce (o per altre cause) non determina di per sé la fittizietà dell’operazione, né vale a dimostrarla. Tale circostanza può, tutt’al più, riscontrare soltanto l’inadempimento contrattuale del venditore e la necessità dell’acquirente di regolarizzare la propria posizione.
Il Tribunale chiarisce anche che “l’attestazione nella fattura, qualificata come accompagnatoria, della giacenza della merce nel magazzino dell’emittente” è priva di significato probatorio.
Tale precisazione, secondo il Giudice di prime cure, invero “ammanta di credibilità quanto sostenuto dalla Difesa, ovvero che venne promessa la consegna della merce – mai recapitata – e che quindi, si rese necessaria l’operazione di storno”.
Per tali motivi, dunque il Tribunale ha pronunciato sentenza di proscioglimento nei confronti di entrambi gli imputati perché il fatto non sussiste.
Si tratta di una sentenza importante, da cui trarre utili insegnamenti, posto che trattasi di una vicenda in cui tutte le società potrebbero (involontariamente) incorrere.
I due imputati sono stati, infatti, sottoposti ad un processo penale, in cui hanno dovuto difendersi dall’accusa di evasione fiscale, per aver registrato una fattura poi stornata l’anno successivo.
Per scongiurare, o comunque limitare al minimo, il rischio di essere coinvolti in analoghe vicende, occorre pertanto, come insegna anche la giurisprudenza, prestare la massima attenzione a tutte le fasi prodromiche alla conclusione dell’affare e del contratto.
Anzitutto l’analisi dei fornitori e dei collaboratori esterni deve necessariamente contemplare la verifica della loro esistenza e della coerenza della loro attività rispetto al contenuto del contratto da concludere (anche mediante ricerche in internet o in apposite banche dati e, ove possibile, svolgendo sopralluoghi presso la sede della società).
È poi assolutamente necessario tracciare i rapporti, conservare la corrispondenza e prevedere in modo chiaro nel contratto le modalità di consegna dei beni.
Nel caso di specie, risulta di tutta evidenza che le raccomandate trasmesse dalla responsabile contabile della S.p.A., in uno con la corrispondenza tra questa e il commercialista, hanno permesso di dimostrare l’assoluta buona fede della società che attendeva soltanto la consegna della merce oggetto del contratto.
Importante infine è la tempestività dello storno della fattura registrata ma non pagata. Infatti, se nel caso di specie la neutralizzazione fosse avvenuta nel medesimo periodo d’imposta, nessuna azione penale sarebbe stata esercitata.