Nota su sentenza CGUE del 17.05.2022 – Cause riunite C‑693/19 e C‑831/19.

Sommario: 1. La sentenza della CGUE del 17.05.2022 cause riunite C‑693/19 e C‑831/19; 2. Sentenze della CGUE emesse nei confronti degli ordinamenti spagnolo e rumeno; 3. Precedenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità; 4.Prospettive future; 5.Conclusioni.

  1. La sentenza della CGUE del 17.05.2022 cause riunite C693/19 e C831/19.

Nella sentenza in epigrafe il giudice europeo ha affrontato il tema del “giudicato implicito” nell’ambito di un giudizio esecutivo in cui era stata rilevata d’ufficio la vessatorietà delle clausole di alcuni contratti posti a base di decreti ingiuntivi (emessi nel 2012 e nel 2013) non opposti.

Di seguito i fatti delle cause e le motivazioni della Corte.

Il Tribunale di Milano in quanto giudice del procedimento esecutivo rimetteva l’esame della questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia in ordine all’interpretazione degli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Le controversie vedevano coinvolti alcuni istituti di credito che instauravano un procedimento di esecuzione forzata finalizzato a ottenere il recupero dei crediti risultanti da contratti di finanziamento in merito a procedimenti di esecuzione forzata basati su decreti ingiuntivi che avevano acquisito autorità di cosa giudicata non avendo il debitore proposto opposizione avverso detti decreti.

Il giudice dell’esecuzione, rilevando d’ufficio la nullità delle clausole dei suddetti contratti riteneva di essere legittimato a valutare l’eventuale carattere abusivo delle clausole stesse.

Di contro, le finanziarie creditrici sostenevano che l’autorità di cosa giudicata del decreto ingiuntivo ostava a qualsiasi esame delle clausole dei contratti sulla base dei quali era stato emesso il medesimo decreto.

Inoltre, per la causa C-831/2019, i creditori sostenevano che il debitore coobbligato in quanto fideiussore non si poteva avvalere del proprio status di consumatore in quanto socio della società debitrice principale.

Sul punto il giudice del rinvio riteneva che il debitore-fideiussore fosse qualificabile come consumatore, per il motivo che il medesimo, alla data in cui aveva stipulato i contratti di fideiussione di cui al procedimento principale, in primo luogo, non aveva acquistato la sua integrale partecipazione nel capitale sociale della società debitrice, in secondo luogo, non risultava provato che avesse percepito utili in relazione alle quote detenute e, infine, in terzo luogo, era appurato che, dal 1976, era titolare di un rapporto di lavoro dipendente con un’altra società e, di conseguenza, al momento della conclusione dei contratti di fideiussione, non aveva alcun collegamento di natura funzionale con la debitrice principale[1].

Ciò premesso, il Tribunale di Milano decideva di sospendere i procedimenti e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

  1. Causa c – 693/2019 “Se ed a quali condizioni gli articoli 6 e 7 della direttiva [93/13] e l’articolo 47 della [Carta] ostino ad un ordinamento nazionale, come quello delineato, che preclude al giudice dell’esecuzione di effettuare un sindacato intrinseco di un titolo esecutivo giudiziale passato in giudicato e che preclude allo stesso giudice, in caso di manifestazione di volontà del consumatore di volersi avvalere della abusività della clausola contenuta nel contratto in forza del quale è stato formato il titolo esecutivo, di superare gli effetti del giudicato implicito”

 

  1. Causa c- 831/2019 “Se ed a quali condizioni il combinato disposto degli articoli 6 e 7 della direttiva [93/13] e dell’articolo 47 della [Carta] osti ad un ordinamento nazionale, come quello delineato, che preclude al giudice dell’esecuzione di effettuare un sindacato intrinseco di un titolo esecutivo giudiziale passato in giudicato, allorquando il consumatore, avuta consapevolezza del proprio status (consapevolezza precedentemente preclusa dal diritto vivente), richieda di effettuare un simile sindacato.

 

  1. Se ed a quali condizioni il combinato disposto degli articoli 6 e 7 della direttiva [93/13] e dell’articolo 47 della [Carta] osti ad un ordinamento come quello nazionale che, a fronte di un giudicato implicito sulla mancata vessatorietà di una clausola contrattuale, preclude al giudice dell’esecuzione, chiamato a decidere su un’opposizione all’esecuzione proposta dal consumatore, di rilevare una simile vessatorietà e se una simile preclusione possa ritenersi esistente anche ove, in relazione al diritto vivente vigente al momento della formazione del giudicato, la valutazione della vessatorietà della clausola era preclusa dalla non qualificabilità del fideiussore come consumatore”.

 

Con decisione del presidente della Corte del 23 febbraio 2021, le cause C-693/19 e C-831/19 sono state riunite.

In ordine alla presunta irricevibilità della controversia eccepita dalla finanziaria creditrice in quanto il debitore-fideiussore non dovrebbe considerarsi consumatore, la Corte supera il problema osservando che lo stesso non ha concluso il contratto di fideiussione in questione nell’ambito della sua attività professionale. Tale contratto deve essere considerato concluso tra un professionista e un consumatore e rientra quindi nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13.

Quanto alle questioni pregiudiziali, tenendo presente che il diritto dell’Unione non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata a una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio alla violazione di una disposizione, di qualsiasi natura essa sia, contenuta nella direttiva 93/13[2], deve essere fatto salvo tuttavia il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività.

In ordine a quest’ultimo principio[3], la Corte ha dichiarato che ogni caso in cui sorge la questione se una norma di procedura nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione, occorre tener conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, del suo svolgimento e delle sue peculiarità, nonché, ove occorra, dei principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento.

La Corte ha ritenuto che il rispetto del principio di effettività non può tuttavia supplire integralmente alla completa passività del consumatore interessato[4].

Secondo la Corte ne consegue che l’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva impone che il giudice dell’esecuzione possa valutare, anche per la prima volta, l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto alla base di un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore e contro il quale il debitore non ha proposto opposizione.

 

  1. Sentenze della CGUE emesse nei confronti degli ordinamenti spagnolo e rumeno.

 

In ordine all’interpretazione 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, e sul principio di autorità di cosa giudicata, è appena il caso si soffermarsi su altre tre sentenze rese nello stesso periodo dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea presentate dai giudici spagnoli e rumeno.

Con riguardo a quelle rese nei confronti dell’ordinamento spagnolo si fa riferimento, rispettivamente, alla causa C-600/19, Ibercaja Banco e a quella C-869/19, Unicaja Banco.

In ordine alla prima, il tribunale competente disponeva l’esecuzione del titolo ipotecario detenuto dal creditore e autorizzava il sequestro a carico dei debitori/consumatori. Nel corso del procedimento di esecuzione, il debitore faceva valere il carattere abusivo della clausola relativa agli interessi di mora quando gli effetti dell’autorità di cosa giudicata erano già intervenuti. Secondo la Corte, il diritto dell’Unione osta a una normativa nazionale che, a causa degli effetti dell’autorità di cosa giudicata e della preclusione, non consente né al giudice di esaminare d’ufficio il carattere abusivo di clausole contrattuali nell’ambito di un procedimento di esecuzione ipotecaria né al consumatore, dopo la scadenza del termine per proporre opposizione, di far valere il carattere abusivo di tali clausole in tale procedimento o in un successivo procedimento di cognizione, quando dette clausole siano state oggetto di un esame d’ufficio da parte del giudice quanto al loro eventuale carattere abusivo, ma la decisione giurisdizionale che autorizza l’esecuzione ipotecaria non comporti alcun motivo, nemmeno sommario, che dia atto della sussistenza di tale esame né indichi che la valutazione effettuata dal giudice di cui trattasi in esito a detto esame non potrà più essere rimessa in discussione in assenza di opposizione nel termine citato.

 

Inoltre, qualora il bene esecutato sia stato già assegnato all’asta, la Corte ha stabilito che il consumatore ha comunque il diritto al risarcimento del danno.

 

Quanto alla causa C-869/19, Unicaja Banco, secondo il diritto spagnolo, quando un capo del dispositivo di una sentenza non è contestato da nessuna delle parti, il giudice di appello non può disapplicarlo o modificarlo. Tale regola appare simile al principio di autorità di cosa giudicata. Sul punto la Corte suprema spagnola ha interrogato la Corte sulla compatibilità del diritto nazionale con il diritto dell’Unione, in particolare quanto alla circostanza che un giudice nazionale, adito in appello avverso una sentenza che limita nel tempo la restituzione degli importi indebitamente corrisposti dal consumatore in base a una clausola dichiarata abusiva, non può sollevare d’ufficio un motivo relativo alla violazione della direttiva 93/13 e disporre la restituzione integrale di detti importi.

Ebbene, la Corte riafferma che il diritto dell’Unione osta a una giurisprudenza nazionale che limiti nel tempo gli effetti restitutori alle sole somme indebitamente versate in applicazione di una clausola abusiva successivamente alla pronuncia della decisione giurisdizionale che ha accertato tale carattere abusivo.

 Da ultimo, nella causa Causa C-725/19, Impuls Leasing România, si rileva che la normativa rumena non consente al giudice dell’esecuzione di un credito di valutare d’ufficio o su domanda del consumatore il carattere abusivo delle clausole di un contratto stipulato tra un consumatore e un professionista, per il motivo che esiste un ricorso di diritto comune nell’ambito del quale il carattere abusivo delle clausole di un tale contratto può essere controllato dal giudice adito con detto ricorso. Se il procedimento esecutivo e il ricorso di accertamento coesistono, il consumatore può chiedere la sospensione del primo pagando una cauzione calcolata sulla base del valore dell’oggetto del ricorso.

Secondo la Corte un debitore insolvente è verosimile che possa non disporre delle risorse finanziarie necessarie per costituire la garanzia richiesta per cui il diritto dell’Unione osta a una tale normativa nazionale.

 

  1. Precedenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità.

 La questione sottoposta all’attenzione della Corte di Giustizia appare di particolare rilievo in quanto pone in discussione, sul piano formale, il principio della efficacia di cosa giudicata ex art. 2909 c.c. di un decreto ingiuntivo non opposto su cui sembrerebbe esserci già un orientamento maggioritario espresso dalla giurisprudenza sia di merito che di legittimità.

 

Nel presente paragrafo vale quindi la pena ripercorrere brevemente gli argomenti della giurisprudenza sia favorevole che contraria al principio in parola[5].

In ordine alla giurisprudenza che ammette il giudicato implicito del decreto ingiuntivo non opposto si veda in primo luogo la sentenza della Corte di Cassazione del 28 novembre 2017 n. 28318[6] secondo cui il principio del giudicato (che spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico) trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento, il quale, ove non sia proposta opposizione, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento del credito, precludendo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda.

L’argomentazione su cui si basa la sentenza in esame prende le mosse dalla valorizzazione dell’art. 656 c.p.c. norma che assoggetta il decreto ingiuntivo non opposto alle impugnazioni cd. “straordinarie” (revocazione e opposizione di terzo), definite tali proprio perché in grado di superare la forza del giudicato. Si è osservato al riguardo che non potrebbe mai aversi conflitto tra giudicati qualora il decreto ingiuntivo non opposto, pur acquistando efficacia di titolo esecutivo, non fosse idoneo ad acquisire la qualità di res iudicata[7].

Conforme la seguente sentenza della Cassazione Civile (n. 6628 del 2006) per cui si riportano le significative motivazioni: “Costituisce principio più volte affermato da questa Corte quello secondo cui quando l’accertamento dell’inesistenza, validità e natura giuridica di un contratto, fonte di un rapporto obbligatorio, costituisce il presupposto logicogiuridico di un diritto derivatone, il giudicato si estende al predetto accertamento e pertanto spiega effetto in ogni altro giudizio, tra le stesse parti, nel quale il medesimo contratto è posto a fondamento di ulteriori diritti, inerenti al medesimo rapporto (Cass. n. 9548 del 1997, n. 3230 del 2001 en. 16959 del 2003), con il limite ovviamente che non sopravvengano mutamenti di fatto o di diritto che modifichino il contenuto materiale del rapporto o il regolamento. In altri termini l’efficacia di giudicato copre l’accertamento, oltre che del singolo effetto fatto valere, anche del rapporto obbligatorio che di quell’effetto costituisce l’antecedente logico necessario. Analogamente, il decreto ingiuntivo acquista, al pari di una sentenza di condanna, autorità ed efficacia di cosa giudicata sostanziale, in relazione al diritto in esso consacrato tanto in ordine ai soggetti ed alla prestazione dovuta quanto all’inesistenza di fatti estintivi, impeditivi o modificativi del rapporto e del credito (Cass. Civ. n. 7272 del 2003, n. 11602 del 2002 e n. 15178 del 2000)”.

 Deriva che, secondo tali argomentazioni, sostenere che un decreto ingiuntivo non opposto non ha efficacia di giudicato potrebbe esporre le parti a conseguenze incerte e aleatorie sull’esito della domanda giudiziale incrementando i tempi della giustizia in contraddizione con il principio di economia processuale di cui la cosa giudicata dovrebbe essere un’estrinsecazione.

Ciò premesso, si registra un orientamento contrario a quanto appena evidenziato che, prima della sentenza in commento della CGUE, aveva già messo in dubbio il principio di costa giudicata del decreto ingiuntivo non opposto sebbene con diverse argomentazioni.

Sul punto, secondo la sentenza della Cassazione civile, la n. 26293 del 2011 Quando, come nel caso di specie, il giudicato sia frutto della mancata opposizione ad un decreto ingiuntivo – la cui motivazione, per stessa natura sommaria del provvedimento (che è emesso senza nessun contraddittorio ed è soggetto all’opposizione dell’ingiunto), è necessariamente succinta – manca un supporto argomentativo che possa spiegare effetti oltre i confini della singola fattispecie[8].

A tale decisione se ne aggiungono altre che hanno posto in rilevo ulteriori argomenti a sostegno della tesi “minoritaria”, come ad esempio la sentenza n. 27073 del 2016 della Cassazione civile che ha osservato come ai fini dell’ammissibilità del c.d. ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7°, Cost., l’idoneità al giudicato viene riconosciuta dalla suprema Corte ai provvedimenti definitivi e decisori i quali cioè, pur non avendo la forma di sentenza espressamente prevista dall’art. 2909 c.c., non siano altrimenti impugnabili o “rimediabili” (c.d. definitività) ed abbiano deciso nel contraddittorio delle parti una controversia in ordine a diritti soggettivi o status (c.d. decisorietà)[9].

 

  1. Prospettive future.

Si fa presente che il problema in discussione è stato recentemente sottoposto all’attenzione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

In particolare, il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione interviene per la prima volta in ambito di rilevabilità d’ufficio delle clausole abusive – poste a base di un decreto ingiuntivo – da parte del giudice dell’esecuzione, chiedendo al Presidente della Terza sezione di dichiarare estinto per rinuncia agli atti un ricorso per cassazione in cui era stata invocata l’applicazione delle sentenze europee in commento e di enunciare il principio di diritto ai sensi dell’art. 363 c.p.c. Pertanto, con provvedimento del 07 luglio 2022 il presidente della III sez. civile della Corte di cassazione ha trasmesso la causa al Primo presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite, in quanto questione di particolare importanza che coinvolge materie di competenza di diverse sezioni.

Il P.G. nella sua requisitoria (ricorso nell’interesse della legge) domanda che la Corte enunci i seguenti principi di diritto nell’interesse della legge: nel decreto ingiuntivo richiesto nei confronti del consumatore il giudice deve dichiarare di aver proceduto ad un esame d’ufficio delle clausole del titolo all’origine del procedimento e che detto esame, motivato almeno sommariamente, non ha rivelato la sussistenza di nessuna clausola abusiva (…).

 Nell’attesa della pronuncia delle Sezioni Unite, tra i possibili dubbi si segnalano quelli concernenti i rapporti fra motivazione richiesta al giudice del monitorio e il decreto ingiuntivo emesso sulla produzione di cambiali, assegni e altri titoli di credito riguardo ai quali è impossibile motivare in ordine alla esistenza o meno di clausole abusive. Si aggiunga che la motivazione, nel monitorio, è sommaria e quindi fisiologicamente incompleta.

Ma proprio per queste (ed altre) ragioni occorre attendere il giudizio delle Sezioni Unite in cui verranno individuate le immediate ricadute nel diritto processuale interno.

 

  1. Conclusioni.

In conclusione, dopo la pubblicazione delle sentenze in commento, nei rapporti tra consumatore e professionista, se non vi è stata espressa pronuncia di vessatorietà delle clausole questa può essere eccepita dal debitore principale o dal fideiussore e rilevata d’ufficio anche in una fase avanzata dell’esecuzione.

Infatti, secondo la Corte le disposizioni procedurali nazionali devono soddisfare il principio di effettività, vale a dire assolvere un’esigenza di tutela giurisdizionale effettiva. A tale riguardo, la Corte ritiene che, in assenza di un controllo efficace del carattere potenzialmente abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi, il rispetto dei diritti conferiti dalla direttiva 93/13 non possa essere garantito.

Ne deriva che il “giudicato” c.d. implicito del decreto ingiuntivo non opposto, laddove non sia stata garantita una tutela effettiva al consumatore, può essere messo in discussione in presenza di clausole abusive del contratto.

 

 

 

[1] Sul punto si vedano i provvedimenti della CGUE: ordinanze del 19 novembre 2015, Tarcău (C-74/15, EU:C:2015:772) e del 14 settembre 2016, Dumitraș (C-534/15, EU:C:2016:700) che fissano i parametri alla stregua dei quali il fideiussore garante di una persona giuridica può essere qualificato come consumatore.

Analogamente in giurisprudenza di merito e di legittimità: si vedano, ex multis, Trib. di Padova, 9 gennaio 2012, in Notariato, 2013, 691 ss., con nota di M. RINALDO, Contratto di fideiussione e ambito applicativo della disciplina dettata dal codice del consumo; Trib. di Milano 20 gennaio 2012, in banche dati utetgiuridica.it; Trib. di Milano 13 novembre 2013, in banche dati utetgiuridica.it; Trib. Bologna, 3 marzo 2014, in banche dati utetgiuridica.it; Trib. Bergamo, 12 dicembre 2014, in banche dati utetgiuridica.it; Trib. Genova, 7 aprile 2015, in banche dati utetgiuridica.it; Trib. Roma, 26 giugno; 2015, in Quotidiano giuridico, con nota di TOSCHI VESPASIANI; Trib. Foggia, 23 luglio 2015, in Fallimento, 2015, 1259; Trib. Firenze, 13 luglio 2016, in banche dati utetgiuridica.it; Trib. Treviso, decreto del 21 dicembre 2016, in banche dati utetgiuridca.it; Trib. Trieste, 5 maggio 2017, in banche dati utetgiuridica.it; Trib. Latina, 5 settembre 2018, in banche dati utetgiuridica.it.; ord. Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2018, in CED Cassazione; ord. Cass. Civ., sez. VI, 16 gennaio 2020, n. 742, in Banca, borsa tit. cred., 2020, II, 685 ss. con nota di U. MINNECI.

Nella giurisprudenza ABF: Collegio di Coordinamento con la decisione n. 5368/2016 (accogliendo le domande del ricorrente che si “autoqualificava” consumatore dopo aver prestato una fideiussione ad una società edilizia di cui era socio); decisione del Coll. di Napoli n. 19916/2020¸ F. TRUBIANI, Gli angusti orizzonti della nozione di consumatore nella disciplina della crisi da sovraindebitamento, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 7, 993 ss.

In dottrina: A.A. DOLMETTA, Sul fideiussore consumatore: linee dell’evoluzione giurisprudenziale, in Banca, Borsa tit. cred., 2017, I, 281. A. BARBA, Considerazioni a margine di un’ordinanza in tema di foro del consumatore, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 1164 ss. 65 R. CONTI, Il fideiussore non è sempre “professionista di rimbalzo”, in Corr. Merito, 2006, 3.

[2] Si vedano sentenze del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones, C-40/08, EU:C:2009:615, punto 37, e del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C-154/15, C-307/15 e C-308/15, EU:C:2016:980, punto 68.

[3] Sentenza del 10 giugno 2021, BNP Paribas Personal Finance, da C-776/19 a C-782/19.

[4] Si vedano sentenza del 1° ottobre 2015, ERSTE Bank Hungary, C-32/14, EU:C:2015:637, punto 62.

[5] Su eventuali argomenti “pro” e “contro” in ordine alla efficacia di cosa giudicata del decreto ingiuntivo non opposto si veda l’approfondita analisi di G. VIGNERA, Sull’efficacia di cosa giudicata del decreto ingiuntivo non opposto: rilievi critici, in ilcaso.it.

[6] In senso conforme: App. Genova 27 luglio 2016, in Foro it.; Cass. Civ. 6 giugno 2016, n. 11572; Trib. Grosseto 13 gennaio 2016; Cass. Civ. 2 aprile 2015, n. 6673; Cass. Civ. 16 giugno 2006, n. 13916; Cass. Civ. 16 febbario 2017 n. 4090.

[7] Si veda sul punto A. D’ADDAZIO, Significative implicazioni della teoria del giudicato implicito nel decreto ingiuntivo non opposto, in giustiziacivile.com.

[8] Nello stesso senso Cass. Civ. n. 23918 del 2010, n. 6543 del 2014 e n. 2370 del 2015.

[9] Cfr. G. VIGNERA, cit.