Ci occupiamo oggi di individuare i destinatari della normativa contenuta nel D. Lgs. 231/01, ovvero dei soggetti che devono adottare un Modello di organizzazione, gestione e controllo per escludere la loro responsabilità nel caso in cui una persona ad essi legata (dipendente o collaboratore) commetta un reato nel loro interesse o vantaggio.

L’articolo 1 del Decreto Legislativo 231 dell’8 giugno 2001 specifica che questa particolare responsabilità da reato riguarda in generale gli “enti”.

Si tratta di un concetto che non trova una specifica definizione all’interno del D. Lgs. 231/01 e tantomeno in altre disposizioni di legge.

Il comma 2 della medesima disposizione precisa che le disposizioni del Decreto trovano applicazione nei confronti di due macrocategorie: gli “enti forniti di personalità giuridica” e le “società e associazioni prive di personalità giuridica”.

Nella prima categoria sono ricomprese tutte le società di capitali: società a responsabilità limitata, società per azioni e società in accomandita per azioni. Ovvero quelle realtà che costituiscono un soggetto di diritto, diverso dalla persona fisica, che costituisce un autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici e di interessi.

Rispetto alle imprese individuali e alle società unipersonali l’applicabilità della normativa non è univoca, anzi desta alcune perplessità. Una parte della giurisprudenza si è espressa in senso favorevole, posto che si tratta pur sempre di soggetti distinti dalle persone fisiche che li compongono. Un’altra parte invece ritiene inapplicabile la disciplina, in quanto vi sarebbe – in termini generali – la difficoltà ad individuare un loro interesse autonomo e indipendente rispetto a quello dell’imprenditore.

Nella seconda categoria rientrano invece le società di persone, le associazioni non riconosciute, le fondazioni, i comitati, i condomini edili, i consorzi con attività esterna. Per società di persone si intendono: la società semplice, la società in accomandita semplice e la società in nome collettivo.

La disciplina in esame è stata inoltre ritenuta applicabile agli studi associati e alle società di professionisti.

Ma anche agli enti no profit, ovvero che svolgono attività senza fine di lucro, e alle società a partecipazione pubblica (c.d. società miste), ovvero società commerciali le cui partecipazioni sono detenute, contemporaneamente, sia da soggetti privati che da soggetti pubblici.

Per tutti questi Enti è quindi preferibile (anche se non si tratta di un obbligo giuridico) dotarsi di un sistema 231, ovvero di un Modello di Organizzazione, Gestione e controllo nonché di un Organismo di vigilanza con il compito di vigilare sull’adozione e sull’attuazione del Modello quale strumento per prevenire la commissione di reati.

Diversamente, qualora venga commesso un reato, ad esempio si verifichi un infortunio sul lavoro dovuto alla violazione delle norme in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, la società potrà essere chiamata a rispondere unitamente alla persona fisica che ha commesso il reato.

A contrario, le categorie di enti nei cui confronti non trova applicazione il D. Lgs. 231/01 sono, sempre secondo l’art. 2 della normativa, lo Stato, gli enti pubblici territoriali (Regioni, Comuni, Città Metropolitane), gli altri enti pubblici non economici (Croce Rossa Italiana, gli Ordini e i Collegi professionali, le Università) nonché gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (sindacati e partiti).